“La Canzone è una sintesi del caos.
Potrei dire mille ragioni per cui ho iniziato a scrivere, ma credo che nessuna di queste possa essere in qualche maniera esaustiva; credo che all’inizio succeda per una sorta di richiamo spirituale non meglio identificato.
Nasco nel 1983 in Sicilia: un posto che la incarna, la sintesi.
Inizio molto presto ad essere attratto da qualsiasi cosa produca un rumore; l’incontro con la batteria è inevitabile, subito prima della scoperta della chitarra. Elettrica.
Vengo folgorato dal blues, dal suo sangue, dalla sua libertà.
Quando sei un ragazzino e vedi per la prima volta suonare Jimi Hendrix, ti si forma un doppio nodo inestricabile al DNA.
Inizio a scrivere canzoni. Non so perché. Credo ci fosse una ragazzina di mezzo.
La lingua italiana è uno strumento complesso e meraviglioso: lo capisci dai Maestri. Li osservi. Voglio suonare, inizio a mettere in piedi formazioni diverse, vivo nelle cantine.
Gli amplificatori scassati, vecchie batterie, adesivi, fumo, divani lerci: fotografie indelebili. Incontro il Jazz: non lo comprendo, gli suono dietro. Identifico lo studio nel tuffarmi in linguaggi diversi dal mio. Miles. Il Punk. La New Wave. Il Krautrock.
Continuo a scrivere canzoni. Non so perché. Credo sia l’unico modo che ho per scattarmi delle fotografie da dentro. Per poterle guardare più avanti.
Scopro il sintetizzatore. E’ uno shock. Finiscono i primi dieci del duemila. Mi trovo a New York. Si abbattono i muri. Tutto assume un senso nella contaminazione, nello scambio culturale. Fuggo dai contesti statici, dalle scene autoreferenziali, dalle fortificazioni della miopia culturale. Forse inizio a cercare me stesso in quello che scrivo.
Studio le tecniche di produzione, le mie canzoni diventano la carne su cui sperimentare. Mi sporco le mani. Costruisco, decostruisco e ricomincio da capo.
Mi accorgo di stare lavorando a qualcosa che si avvicina ad un disco.
Inizio ad aprire le porte di quello che faccio, di come lo faccio.
Mi spoglio. Non è mai semplice.
E salgo sul palco con le mie storie.
Suono le mie canzoni davanti a gente assetata che non mi conosce. Alcuni mi chiedono da dove vengano quelle storie, vogliono saperne di più.
Inizio ad incontrare persone che decidono di lavorare insieme a me perché vogliono farlo. Tecnici, Musicisti. Maestri. Di musica e di vita. Gliene sarò riconoscente per sempre.
Scrivo insieme ad altri artisti, lavoro alle loro canzoni. Metto al loro servizio il mio linguaggio.
Il sottobosco artistico italiano è il cuore di un vulcano meraviglioso; una fucina in piena attività in cui succede il presente.
Intanto è un’epoca pazzesca per la musica in Italia: siamo in piena rivoluzione. Si sente.
Mi innamoro di Bologna. Vado a vivere li. Finisco il disco.
Contunuo a scrivere canzoni. Le suono in giro.
Non so perché lo faccia, ma credo di non avere scelta.”
Nella finale dell’8 luglio presenterà i suo brano “La parte più oscura del mondo” e una sua interpretazione di “Via Lattea” di Franco Battiato
LA PARTE PIU’ OSCURA DEL MONDO
E’ Il bello della notte
è che devi aprire gli occhi
è che non li avevi aperti mai
con me.
Ma al di là della bellezza
dell’immaginazione,
quanto siamo distanti
e quanta carne fra i denti
quando parli di noi.
L’autostrada e i suoi cartelli stradali
veloci
ti guardano.
e il tempo lo ammazziamo, però,
lui è il vero assassino.
E acceleriamo veloci,
ragazza che non prendi la scossa;
con la valigia piena
senza nessuna risposta.
E ci verranno a cercare bavosi e contenti
per contendersi l’ultimo posto da eroe.
Ma dureremo un secondo
davanti allo sguardo schiumante del mondo.
Curioso il nostro modo di conoscerci bene:
masticarci veloci, mantenendo il controllo;
dimenticando parole, abbandonarci all’istinto
che illumina,
custodisce,
regge e governa
la parte più oscura del mondo.